Le dimissioni dei genitori lavoratori durante il periodo tutelato: conseguenze e criticità​

A cura della Redazione

A seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 105/2022 (in vigore dal 13 agosto 2022) al T.U. maternità (D.Lgs. 151/2001), l’INL, con la nota n. 9550 del 6 settembre 2022, ha evidenziato che, durante la fruizione del congedo di paternità (obbligatorio e alternativo), vige il divieto di licenziamento del padre lavoratore, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino.​

Pertanto, in caso di dimissioni, nel periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento, al padre che ha fruito del congedo di paternità spettano le indennità previste dalle disposizioni di legge e contrattuali in caso di licenziamento (e, quindi, l’indennità di preavviso e la NASPI) e lo stesso non è tenuto al preavviso.​

Con il messaggio n. 1356/2023 (*), l’INPS ha, inoltre, precisato che le dimissioni del lavoratore padre dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in caso di fruizione del congedo di paternità obbligatorio o di congedo di paternità alternativo, intervenute nel periodo di durata del congedo di paternità e sino al compimento di un anno di età del bambino, determinano la sussistenza dell’obbligo contributivo di cui all’art. 2, commi da 31 a 35, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. ticket di licenziamento).​

L’INPS ha ricordato che il ticket non si applica - sino al 31 dicembre 2023 - nelle ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato di lavoratore assunto con la qualifica di giornalista. L’obbligo contributivo in argomento sussiste, invece, anche nelle ipotesi di interruzioni di rapporto di lavoro di operaio agricolo a tempo indeterminato o di apprendista a tempo indeterminato alle dipendenze di imprese cooperative e dei loro consorzi, inquadrati nel settore agricoltura.

Per la comunicazione della cessazione, i datori dovranno utilizzare il codice ”1S”, che assume il più ampio significato di “Dimissioni per giusta causa o intervenute durante il periodo tutelato di maternità e del lavoratore padre ai sensi dell’art. 55 del D.Lgs. 151/2001”.

Per le cessazioni di rapporto di lavoro intervenute precedentemente al 12 aprile 2023, i datori di lavoro devono operare con l’invio di flussi regolarizzativi sull’ultimo mese di attività del lavoratore, da effettuarsi entro il giorno 16 luglio 2023, esponendo il nuovo codice Tipo Cessazione “1S” e il codice “M400”.

 

Dal combinato disposto delle norme (artt. 54 e 55 del D.Lgs. 151/2011) e tenuto conto delle precisazioni dell’INL e dell’INPS, è possibile trarre le conclusioni che seguono.​

Il datore di lavoro è tenuto a versare il ticket di licenziamento:​

  • quando il padre fruisce del congedo di paternità alternativo (pari alla durata del congedo di maternità o parte residua in caso di morte, grave infermità, abbandono della madre oppure in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre – art. 28 T.U. sulla maternità e paternità) e si dimette durante la fruizione di detto congedo e fino ad un anno di età del bambino;​
  • quando il padre fruisce del congedo di paternità obbligatorio (pari a 10 giorni da utilizzare nel periodo da due mesi prima della data presunta del parto ed entro i 5 mesi successivi – art. 27-bis) e si dimette durante la fruizione di detto congedo e fino ad un anno di età del bambino. In questo caso, poiché l’utilizzo dei 10 giorni può avvenire in modo frazionato (a giorni singoli ma non a ore), la fruizione del primo giorno di congedo dà inizio al periodo di tutela del padre (e appunto al conseguente obbligo del versamento del contributo di licenziamento). Ne deriva che se il padre non usufruisce neppure di un giorno la citata tutela non viene riconosciuta e non deve essere versato il ticket di licenziamento. 

 

Indennità sostitutiva del preavviso​

Ciò premesso, per non erogare le citate mensilità di preavviso, si potrebbe ipotizzare di interpretare in modo restrittivo l’art. 55 del T.U. maternità, ossia prevedere che trovi applicazione solamente nel caso in cui il dipendente non si rioccupi presso un nuovo datore di lavoro, e non anche quando venga assunto, nel breve termine, da un’altra azienda.​

Questa interpretazione però, non trovando diretto riscontro nella norma, potrebbe aprire la strada al contenzioso, nel momento in cui il lavoratore dimissionario volesse rivendicare in giudizio la mancata applicazione dell’art. 55 del D.Lgs. 151/2001 e, quindi, l’omesso riconoscimento delle indennità di preavviso.

 

Indennità sostitutiva del preavviso

Sempre al fine di non erogare le citate mensilità di preavviso oppure di erogarle in misura inferiore a quella prevista dal CCNL, si potrebbe anche ipotizzare di interpretare in modo estensivo il criterio dell’aliunde perceptum sancito dall’art. 18, c. 4 dello Statuto dei Lavoratori, in base al quale l'ammontare del risarcimento del danno derivante dal licenziamento illegittimo deve essere decurtato della retribuzione che il lavoratore ha eventualmente percepito da altri datori di lavoro con i quali abbia instaurato un rapporto di lavoro successivamente al licenziamento.​

Anche tale previsione, però, non trova diretto riscontro nella norma di legge, con la conseguenza che la sua applicazione, al dipendente che rassegni le dimissioni nel periodo tutelato, potrebbe ingenerare un contenzioso con il lavoratore.

 

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