Il repêchage deve tener conto anche dei futuri dimissionari
A cura della Redazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12132 dell’8 maggio 2023, ha deciso che l’obbligo di repêchage deve ritenersi assolto non solo se viene provato che non sussistono posizioni disponibili al momento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma anche che non ve ne saranno in un arco temporale del tutto prossimo alla data del recesso.
Il fatto
Nel caso sottoposto al giudizio di legittimità un lavoratore si era rivolto al Tribunale del lavoro affinché accertasse e dichiarasse illegittimo il licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo, con conseguente condanna risarcitoria e reintegratoria.
Il Tribunale ha rigettato le doglianze del lavoratore così come la Corte d’appello che ha confermato la sentenza dei giudici di primo grado.
Il primo ricorso in Cassazione
Il lavoratore ha così proposto ricorso in Cassazione che ha cassato la sentenza rinviando nuovamente la causa alla Corte d’appello, evidenziando che i giudici di merito erano incorsi in errore avendo omesso di verificare l’inosservanza dell’obbligo di repêchage.
Più precisamente il datore di lavoro, che aveva addotto a fondamento del licenziamento l’avvenuta soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato, aveva l’onere di provare che al momento del licenziamento non vi era alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, alla quale avrebbe potuto essere assegnato il dipendente per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle svolte, tenuto conto della professionalità raggiunta dal lavoratore medesimo.
Inoltre i giudici di legittimità hanno ritenuto che il datore di lavoro avrebbe dovuto anche dimostrare che per un congruo periodo di tempo successivo al recesso non era stata effettuata alcuna nuova assunzione in qualifica analoga a quella del lavoratore licenziato.
La Corte d’appello, nella nuova composizione, ha così dichiarato illegittimo il licenziamento, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando il datore di lavoro anche a risarcire il danno in misura pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento, detratto l’aliunde perceptum documentato.
Lo stesso giudice di secondo grado ha anche accertato che al momento dell’intimazione del licenziamento, due dipendenti che svolgevano mansioni analoghe avevano rassegnato le dimissioni con un termine di preavviso destinato a scadere in un arco temporale brevissimo dall’intimazione del licenziamento e con necessità di provvedere alla loro sostituzione. Conseguentemente ha ritenuto che il datore di lavoro, secondo correttezza e buona fede, avrebbe dovuto tenere conto di tali circostanze nel valutare la ricollocabilità del lavoratore.
Il ritorno in Cassazione
L’azienda ha quindi nuovamente fatto ricorso presso la Suprema Corte sostenendo che, sebbene vi fossero due dipendenti dimissionari che stavano lavorando per completare il preavviso, tuttavia, la società stava procedendo ad una complessiva riduzione del personale per far fronte alle continue perdite di fatturato e non aveva intenzione di procedere a nuove assunzioni per coprire quelle posizioni.
Il datore di lavoro ha inoltre aggiunto che il licenziamento si inseriva in un complesso procedimento di riorganizzazione aziendale che aveva comportato la soppressione delle funzioni intermedie e di collegamento e la risoluzione dei rapporti con tutti i dipendenti titolari delle posizioni di gestione e coordinamento delle vendite. Tra queste vie erano le posizioni dei due dipendenti che si erano spontaneamente dimessi, così riducendo il numero dei licenziamenti da irrogare, sicché non erano risultati liberati posti da ricoprire nuovamente.
Il giudizio finale
La Corte di Cassazione ha invece ritenuto corretta la decisione del giudice di merito secondo cui il datore di lavoro, nel valutare le possibilità di ricollocazione del lavoratore prima di procedere al suo licenziamento (c.d. obbligo di repêchage), deve prendere in esame anche quelle posizioni lavorative che, pur essendo ancora coperte, si renderanno disponibili in un arco temporale del tutto prossimo alla data in cui viene intimato il recesso.
Pertanto, come nel caso esaminato, tale circostanza è ben nota al datore di lavoro, questi ne deve tener conto, diversamente risultando il suo comportamento seppur formalisticamente corretto, in contrasto con i principi di correttezza e buona fede.
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